Io Spero Paradiso, i tre detenuti e le ostie per Papa Francesco
Un film su una storia vera, dal carcere di Opera al Vaticano
(di Francesca Brunati) Ciro, Giuseppe e Cristian sono in cella nel carcere di massima sicurezza di Opera, in provincia di Milano, con l'accusa di omicidio e una condanna che, per i primi due è ergastolo e per il terzo un fine pena nel 2031. I tre sono stati scelti fra 1300 detenuti per produrre artigianalmente, con le loro mani che si sono macchiate di sangue, ostie poi consacrate nelle chiese di tutto il mondo, divenendo così il corpo di Cristo. Il loro sogno è consegnarle di persona al Santo Padre Papa Francesco, al quale scrivono una lettera, che cambierà la loro vita. È una storia vera, senza precedenti, quella narrata nel film 'Io spero paradiso' diretto dal regista Daniele Pignatelli, promosso dalla Fondazione Opera Don Bosco, proiettato nelle scorse settimane al Labour Film Festival, e che sarà di nuovo in scena in prossimo 4 novembre al Cinema MIV di Varese (ore 10) nell'ambito del GLocal Film Festival. Una storia che, oltre a renedere testimonianza della situazione dei penitenziari italiani, mette in luce come il carcere non è più un luogo di punizione ma di rieducazione e di reinserimento sociale. Con 'Io spero paradiso' si punta ad oltrepassare le sbarre e si tenta di dipingere quello che dovrebbe essere il percorso di ciascun detenuto e al diritto-dovere di concedere a chi ha sbagliato una nuova 'chance'. Girato nei icorridoi della casa di reclusione dove furono rinchiusi, in regime di 41 bis, Totò Riina o Bernardo Provenzano, in Vaticano e in Sicilia, terra di sbarchi e di morti in mare, il film, per altro pluripremiato, vuole documentare come nelle situazioni più estreme sia possibile trovare una via verso il cambiamento fino ad approdare a una crescita interiore e alla riconquista della dignità. Così i tre protagonisti, che hanno imparato a impastare l'amido, pressarlo negli stampi e ritagliare a mano le ostie in un laboratorio di Opera, intraprendono un percorso fatto di piccoli passi, di errori e di riconciliazione, non solo con la società ma anche con il proprio passato. "La particolarità è che, pur partendo da un copione - spiega Daniele Pignatelli - la maggior parte delle cose sono avvenute all'improvviso", mentre si stava girando, "e questo ci ha obbligati ad una attenzione e concentrazione costante per poter cogliere al volo qualsiasi momento importante: chi mai avrebbe potuto prevedere che dopo solo sei mesi dall'inizio delle riprese i nostri detenuti sarebbero potuti uscire per la prima volta dopo anni per incontrare Papa Francesco? Ecco - aggiunge il regista - questo modo di lavorare, realizzare, scoprire e cambiare continuamente il film 'facendolo' ha reso anche noi stessi non solo testimoni ma anche quasi co-protagonisti". Insomma, il film porta sul set tre detenuti che sono riusciti a realizzare un duplice sogno: da un lato donare le ostie da loro preparate a Papa Francesco ed essere ricordati da lui nelle sue preghiere, dall'altro riuscire a raccogliere i frutti di un percorso di riscatto.
A.Murugan--DT