La storia di Souleymane quasi sequel di Io capitano
Regista, i migranti non sono figurine vanno umanizzati
La storia di Souleymane, terzo film di Boris Lojkine, potrebbe essere, almeno temporalmente, il sequel di 'Io capitano' di Matteo Garrone, dove all'inferno del viaggio verso l'Europa segue l'odissea piena di altrettanti pericoli nel paese di accoglienza per avere diritto ad esistere: un permesso di soggiorno. È il caso di Souleymane (Abou Sangare), immigrato a Parigi dalla Guinea, che attende con ansia il colloquio con l'ufficio immigrazione locale per ottenere asilo e regolarizzare la presenza in Francia. Nel frattempo, a grande ritmo, il ragazzo pieno di energia e di buon carattere fa il rider per la città, ma con la bicicletta e la licenza di un altro immigrato che lo sfrutta. Per dormire poi e farsi una doccia quotidiana, deve prenotare ogni giorno un posto letto in un centro di assistenza statale cercando di presentarsi in tempo per non restare a dormire all'aperto. Tra una ragazza rimasta in Guinea che sta per lasciarlo e una madre malata che ogni tanto sente al telefono, le giornate di Souleymane sono piene dell'angoscia di quel colloquio che può cambiargli la vita e in cui si spaccia per un rappresentante dell'UFDG (Unione delle Forze Democratiche della Sinistra). Un colloquio appunto, con il quale si chiude il film, pieno di verità e di quella speranza che sembra assente nella vita di un migrante nell'Europa di oggi. La storia di Souleymane, in sala dal 10 ottobre distribuito da Academy Two, ha vinto al Festival di Cannes a Un Certain Regard il premio miglior attore andato a Abou Sangare e il Premio della Giuria. "Nel contesto politico attuale diventa più importante e urgente parlare di migrazione una cosa che in Francia come in Italia da alcuni anni ha preso un posto enorme nei discorsi politici - dice a Roma Boris Lojkine -. Oggi i migranti vengono visti troppo come figurine, persone disumanizzate, io volevo esattamente fare il contrario, non volevo dare nessun messaggio, ma far stare attaccato lo spettatore a Souleymane e alla sua bicicletta. E questo - continua il regista - per far sì che si guardino questi migranti in modo diverso. Nessuno ha mai raccontato davvero il loro punto di vista è invece importante umanizzare queste persone, stare vicino fisicamente a Souleyman". Per quanto riguarda il casting dice ancora il regista: "È stato un casting difficile ben due due mesi di ricerca. Cercavo un rider della Guinea e ho visto ben duecento persone nella sola Parigi, poi invece abbiamo trovato il protagonista, che è ancora un sans papier nonostante il premio a Cannes, ad Amiens. In realtà Abou Sangare non mai fatto il rider, ma molte cose della sua vera storia sono entrate nel film". Glissa infine sulla domanda di cosa pensi su 'Io capitano' di Matteo Garrone che conferma però di aver visto e dice solo: "Non è facile raccontare certe cose ci vuole coerenza. Bisogna essere onesti al 100 per 100 cercare di immedesimarsi, abbandonare la prospettiva di uomo bianco, ci vuole umiltà e coerenza".
O.Mehta--DT