Non fu un suicidio ecologico a far collassare l'Isola di Pasqua
Lo indica l'analisi del Dna antico
Non fu un 'suicidio ecologico' dovuto allo sfruttamento massiccio delle risorse naturali a determinare, nel XVII secolo, il collasso della comunità che viveva sull'Isola di Pasqua: contrariamente a quanto si ritenesse finora, l'isola ha ospitato una piccola popolazione che è cresciuta costantemente fino agli anni Sessanta del XIX secolo e decimata dalle incursioni degli schiavi peruviani. A raccontare la vera storia degli abitati di Rapa Nui è la ricerca internazionale coordinata da Víctor Moreno-Mayar, dell'Università di Copenhagen, e alla quale la rivista Nature dedica la copertina. La ricerca si è basata sull'analisi del Dna antico e ha analizzato i resti di 15 individui vissuti tra il 1670 e il 1950. La tecnica, premiata nel 2022 con il Nobel per la Medicina, permette di ricostruire i frammenti degradati e usarli come una sorta di orologio capace di tornare indietro nel tempo e ricostruire le dinamiche delle popolazioni antiche. Dall'analisi è emerso inoltre che Il Dna, come gli attuali abitanti di Rapa Nui, il Dna degli individui più antichi contiene tracce di Dna dei nativi americani. la poplazione dell'isola di Pasqua aveva quindi avuto contatti con le popolazioni del continente americano, probabilmente tra il 1250 e il 1430 d.C.. Insieme alle prove archeologiche e alle storie orali, questa scoperta suggerisce che i polinesiani potrebbero aver attraversato il Pacifico ben prima che gli europei arrivassero a Rapa Nui e ben prima che Colombo arrivasse nelle Americhe. Rapa Nui è uno dei luoghi più remoti del mondo, a quasi 2.000 chilometri dall'isola abitata più vicina, eppure vi si sviluppò per secoli una misteriosa cultura che produsse anche enormi statue note come Moai. La sua popolazione è da sempre circondata da due grandi misteri: il primo legato ai motivi che ne portarono al rapido crollo, il secondo sui possibili contatti con l'America, distante 3.700 chilometri. La nuova storia degli abitani di Rpa Nui "contraddice direttamente l'idea di un drammatico crollo della popolazione prima del contatto", osserva Bárbara Sousa da Mota, dell'Università di Losanna e prima autrice dello studio.
W.Zhang--DT